di Domizia Dalia – pubblicato su COLLEZIONARE marzo/aprile 2014
Don Luciano Marrucci, sacerdote di S. Miniato, ci apre le porte della sua straordinaria raccolta di etichette antiche cromolitografiche, di cui possiede circa 75000 esemplari

Sono decine di migliaia, ma è difficile contarle con precisione. La collezione di etichette antiche e vergini – mai utilizzate – posseduta da Don Luciano Marrucci, sacerdote di S. Miniato, sulle colline toscane, rappresenta un punto di riferimento per tutti gli amanti del genere. Una raccolta eccezionale che denota una passione lunga più di cinquant’anni per queste fascette decorate, da considerare capolavori assoluti.
La sua collezione di etichette antiche è famosa per essere una delle più vaste al mondo, tanto da aver suscitato anche l’interesse d’istituti museali importanti come il Victoria & Albert Museum a Londra e gli Uffizi a Firenze. Può darci un ordine di riferimento sulla sua consistenza?
Si tratta di alcune decine di migliaia, per l’esattezza circa 75mila pezzi originali. Amo definirla una raccolta, più che una collezione, perché l’intero corpus comprende sia i pezzi unici sia i multipli, conservati in gran parte nel caveau di una banca.
Un numero davvero considerevole che testimonia una ricerca fatta con vera passione. La curiosità per le vecchie etichette nasce per caso, ma si lega a qualche aneddoto particolare?
Ho sempre apprezzato tutto ciò che poteva essere documento di costume e testimonianza del gusto di un’epoca. Il primo approccio l’ho avuto a Milano nei primi anni Sessanta. In via San Gregorio esisteva una stamperia, ormai in via di dismissione, che esponeva in vetrina qualche decina di etichette di vini e liquori del secondo periodo della Bella Époque. A quei tempi ero anche abbonato a una rivista francese di antiquariato sulla quale avevo letto l’annuncio di un collezionista svizzero che cercava questo genere di articolo. Ho pensato, così, di andargli incontro acquistandole per lui. Da allora ho cominciato a ricercarle accuratamente con molte soddisfazioni.
La sua raccolta si riferisce a un periodo particolare?
La mia collezione si riferisce all’apogeo dell’etichetta cromolitografica, una tecnica che si afferma tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento, fino alla seconda Bella Époque. Allora si trattava di una rivoluzione che ha permesso di produrre stampe colorate. Nel panorama delle etichette sono proprio queste le più ricercate dai collezionisti, oltre ad essere le più costose anche rispetto a quelle più antiche realizzate con inchiostri normali.









Le etichette cromolitografiche di questo periodo erano principalmente quelle di vini e liquori…
Sono prevalenti quelle dei liquori e dei vermout. La parte del leone, trattandosi di etichette che hanno avuto l’ultimo stampiglio in Italia, la fanno quelle italiane. Alcuni esempi: Grappa Piave, Grappa Piemonte, Amaro Felsina, Ginepro, Rinfresco di Modena e China. Dominano anche quelle dei Vermout (vino tratto con alcune spezie) e delle Anisette. Mentre una delle etichette più ricercate è quella del Rhum e del Punch al Rhum. Esiste anche il Curaçao, il Doppio Kummel, il Cognac Napoleone. Rarissime sono quelle dell’Assenzio (verde liquore dei poeti maledetti ritirato dal mercato perché giudicato una droga) e della Coca Boliviana. All’appello mancano stranamente le meravigliose etichette dei whisky, probabilmente perché, a quei tempi, nel commercio dei liquori questa bevanda non si era ancora affermata.
Quando parla di ultimo stampiglio si riferisce al fatto che queste etichette potevano essere terminate in laboratori differenti da quelli che li progettavano?
Spesso queste etichette erano prodotti assemblati. La tecnica cromolitografica richiedeva molti passaggi e molta maestria e non tutte le tipografie erano in grado di ottenere buoni risultati. Ecco allora che gli stabilimenti di molte grandi città – tra cui Milano, Parigi e Berlino – iniziarono a realizzare su larga scala dei veri e propri passe-partout venduti alle stamperie più comuni. Erano queste a ultimare la fase di stampa imprimendo con caratteri di piombo la dicitura richiesta dal committente. Un metodo diffusissimo dato che consentiva anche un grosso risparmio per le aziende che altrimenti avrebbero dovuto rinunciare a etichette così belle.
Non è difficile trovarsi davanti a esemplari con la stessa grafica, ma riferiti a prodotti differenti…
Assolutamente no, tra gli esempi più raffinati possiamo citare la serie dei dodici passaporti e quella delle banconote.
Il risultato di queste opere avveniva grazie alla maestria di due figure quella dell’illustratore e quella dello stampatore…
L’uno non poteva prescindere dall’altro. Questo mix tra intuizione artistica e conoscenza tecnica portava a risultati di altissimo livello.
In commercio si trovano anche dei falsi?
Sì, spesso online si possono acquistare etichette a prezzi irrisori che ovviamente sono delle ristampe. Io le riconosco immediatamente, ma un profano può davvero rimanerne ingannato.
Per contatti: Luciano Marrucci www.old-labels.com – lmarrucci@gmail.com