di Domizia Dalia – pubblicato su COLLEZIONARE ottobre/novembre 2013
Dall’America degli anni ‘50 il gioco del “pinball”, meglio conosciuto come flipper. Ogni mese a Milano Riccardo apre le porte del suo spazio espositivo per far rivivere i suoi “biliardini elettrici” e condividerli con collezionisti e appassionati
Il flipper, già in voga negli Stati Uniti negli anni Cinquanta con il nome di pinball, non ha avuto subito una grande diffusione in Italia perché era considerato un gioco d’azzardo e per questo proibito. Veniva chiamato biliardino elettrico, per evitarne il sequestro, ed era relegato in bische clandestine e nei retro bottega di caffè malfamati. Entra di diritto nelle sale dei bar verso la fine degli anni Sessanta, riuscendo a conquistare tutti, adulti e bambini. In Italia, come in altri paesi europei, viene ribattezzato flipper per via della scritta riportata sopra le alette in plastica azionabili da pulsanti esterni. Oggi la produzione, seppur limitata continua, ma quelli di un tempo rimangono per molti i più affascinanti. La pensa così Riccardo Pizzi, romagnolo, classe 1965, collezionista e restauratore autodidatta.
Da giocatore accanito a ricercatore e raccoglitore. Da quando si ritiene un vero collezionista?
Ho sempre avuto la passione per i flipper fin da quando ero bambino, tanto che mio padre pur di non vedermi più incollato davanti a questi giochi a moneta in uno dei tanti bar sul lungomare di Rimini, me ne regalò uno vero tutto per me. L’aspetto collezionistico, è subentrato più tardi, quando nel 2000, a Parigi, mi ritrovai a sfogliare un bellissimo libro sui flipper, da quel momento mi si accese la lampadina e decisi di raccoglierli. Il principale problema è sempre stato quello dello spazio, infatti non è semplice come raccogliere monete o francobolli, l’ingombro è notevole, soprattutto se si vogliono tenere montati e funzionanti.
Dopo vari cambiamenti finalmente ha trovato uno spazio di oltre 200 metri quadri, quanti flipper ospita?
Uno scantinato nel quartiere Isola, qui a Milano, è stato una grande occasione e oggi è diventato “La Saletta” uno spazio che contiene quasi cento di questi biliardini elettrici e che ogni mese apre le porte a tutti gli appassionati.
Un ritrovo dove passare una serata e tornare indietro nel tempo. La condivisione della sua collezione è fondamentale per lei?
Lo è davvero, si vivono momenti unici insieme a tutti gli amanti dei giochi a moneta. Quest’associazione ha anche il ruolo di far funzionare i flipper poiché, come ogni altro gioco meccanico, hanno bisogno di essere usati per rimanere in buona salute.
E lei della condizione di un flipper se ne intende, dato che la sua collezione è composta solo da esemplari funzionanti…
Amo restaurarli, sempre basandomi sul criterio conservativo, non li ridipingo e non aggiungo niente che non sia originale. Sono un autodidatta e ho imparato smontando il mio primo flipper, un Bally del 1968 modello Dixieland, regalatomi da mio padre. Da allora la meccanica mi appassiona molto e rimetterli in sesto è una delle fasi che prediligo insieme alla ricerca, o scoperta, e al gioco, naturalmente.
Che cosa la conquista e la porta a comprarne sempre di nuovi?
Oltre alle condizioni, mi affascina la loro estetica così appariscente e colorata. Difficilmente bado alla rarità, anche perché, in questo campo, non sempre vuol dire che corrisponda a un modello più bello e divertente, anzi spesso è proprio il contrario.
Come mai?
Un flipper negli anni Cinquanta – Sessanta veniva messo in circolazione in numero limitato, cento o duecento pezzi. Se funzionava bene ed era accattivante come gioco veniva diffuso con più esemplari, altrimenti veniva considerato un flop e ritirato dal mercato. C’è, quindi, un’errata interpretazione nel pensare che i flipper più rari siano anche i più belli, perché di fatto sono delle cosiddette “cantonate”. Per questi giochi la regola s’inverte e i più difficili da trovare non sono solitamente né belli da guardare né interessanti da giocare.
Nella sua collezione ci sono esemplari che vanno dagli anni Cinquanta agli anni Ottanta, tutti con grafiche eccezionali e anche al passo con i tempi, quali i soggetti che venivano prediletti?
Le grafiche variano nel tempo. È importante sottolineare che il flipper è un gioco pensato e nato per un pubblico maschile e nei primi vent’anni di vita (anni 50 e 60) sono stati preferiti soggetti femminili come pin-up in costume da bagno. Altro tema moto frequente, oltre ai giochi di carte, è lo sport. Favoriti erano quelli americani nazional popolari come basket, bowling, baseball, golf e molti altri. Esistono anche casi particolari a soggetto musicale. Venivano ispirati dalle canzoni di moda. Ne possiedo uno del 1951, prodotto da una piccola azienda, chiamato Thing. Questo flipper riporta tutte le fasi salienti della canzone che parlava di un pacco che nessuno voleva aprire. Su questa scia, successivamente, sono stati prodotti esemplari con il tema dei film, solitamente di azione, come Star Trek, Batman e Terminator tra i tanti.
Parlando di aziende produttrici, quelle americane sono state le più prolifiche, quali le principali?
Ce ne sono molte, ma tra le migliori la Gottlieb, nota casa che per il primo ventennio ha dominato il mercato anche grazie all’elevata qualità estetica, la Bally e la Williams.
Possiamo parlare anche di produzione italiana?
In Italia inizialmente si realizzavano solamente copie dei modelli americani, poiché non esistevano leggi che tutelassero il copyright. Tra le aziende che si sono distinte producendo una serie propria di flipper c’è la Zaccaria di Bologna, che negli anni Settanta ebbe il boom.
Il sogno nel cassetto è possedere…
I cassetti straripano di sogni, ma non è così semplice realizzarli!