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Cavatappi, la straordinaria collezione di Paolo De Sanctis

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OGNI RICCIO UN CAPRICCIO

Cavatappi, la straordinaria collezione di Paolo De Sanctis

di Domizia Dalia pubblicato su COLLEZIONARE gennaio/febbraio 2016

Dall’interesse per i vini pregiati alla passione per i cavatappi. L’ingegnere Paolo de Sanctis fin da giovanissimo è stato attratto da questo meccanismo tanto da trasformare la sua curiosità in una vera passione

Cavatappi inglesi: a sinistra con manico di avorio e finiture in argento, a destra con manico in zanna di cinghiale e finiture in argento. XIX secolo

Non stiamo parlando di capelli, ma di affilatissime spirali metalliche denominate “verme” dagli esperti e collezionisti di cavatappi, utensili – questi – adoperati per estrarre il tappo dalle bottiglie con il minor sforzo possibile grazie al principio delle leve. L’ingegnere Paolo de Sanctis fin da giovanissimo è stato attratto da questo meccanismo tanto da trasformare la sua curiosità in una vera passione che lo ha portato, nel tempo, a diventare tra i più importanti conoscitori al mondo di tirabusciò e persino a fondare a Londra nel 1974, insieme all’amico Inglese Bernard Watney, l’esclusivo club ICCA – International Correspondence Corkscrew Addicts –. Nato a Milano nel 1931, esattamente cento anni dopo Ippolito Nievo, scrittore a cui è intestata la via dove risiede, l’ingegner de Sanctis inizia la sua seconda professione, quella di collezionista: subito dopo l’università e in oltre sessant’anni di ricerche ha raccolto più di tremila esemplari di ogni genere, epoca e paese.

Ingegnere, c’è stato un momento preciso in cui ha capito che la sua passione per i cavaturaccioli era diventata una vera e propria mania?

Ho cominciato interessandomi ai vini pregiati che conservavo ordinatamente e con cura in cantina su mensole di legno. Proprio su queste iniziai ad appendere, in maniera del tutto casuale, dei cavatappi che pian piano divennero numerosi. Capii, così, che era scattata in me la molla del collezionista. Ricordo benissimo il primo cavatappi che appesi, si trattava di un modello meccanico a macinino, oggi molto ricercato.

Sull’origine di questi utensili non siete tutti d’accordo, la maggior parte degli appassionati fa risalire i primi esemplari alla seconda metà del Seicento, quando Dom Pérignon ha iniziato la produzione di vino fermentato in bottiglia servendosi di tappi di sughero per ottenere una chiusura ermetica…

Sicuramente non appena è stato escogitato il sistema per tappare le bottiglie – utilizzate per conservare e trasportare vini pregiati – si è presentato il problema opposto, ovvero quello di estrarre il tappo in maniera rapida ed efficace. Già nella seconda metà del XVII secolo in Inghilterra venivano utilizzate bottiglie in vetro per commercializzare liquidi come birra e sidro, ma per parlare del primo brevetto bisogna aspettare il 1795, anno in cui il reverendo Samuel Henshall riuscì a depositarlo. Credo, però, che sia interessante sottolineare come Archimede di Siracusa – italiano, della Magna Grecia – abbia sicuramente contribuito al meccanismo grazie all’invenzione, ben due secoli e mezzo prima dell’avvento di Cristo, della vite ad asse centrale, meglio conosciuta come vite di Archimede e alla teorizzazione delle leve ovvero componente e principio fisico su cui si basa ogni tipo di cavaturaccioli.

Tra le chicche della sua collezione sono presenti anche tre esemplari di oggetti precursori dei cavatappi risalenti al 1400 e al 1500…

Sono delle vere curiosità, molto rare da trovare. Si tratta di verghe di ferro molto appuntite e attorcigliate utilizzate per rimuovere le pallottole dalla canna delle armi da avancarica.

Gli appassionati come lei, ritengono che i cavatappi collezionabili sono tutti quelli precedenti al 1945, è vero?

Quelli prodotti nella seconda metà del Novecento sono effettivamente poco rilevanti e anche io non li colleziono. La mia raccolta comprende soprattutto esemplari del Settecento e Ottocento con qualche raro pezzo della seconda metà del Seicento.

Nel corso dei secoli sono stati realizzati differenti tipologie di tirabusciò, da quelli semplici a T a quelli con meccanismi più complessi. Si può legare ogni tipologia ad un’epoca ben precisa?

In realtà non è proprio così semplice. La prima distinzione che possiamo fare è quella dei cavatappi realizzati per il vino. Diffusi più nelle corti del Nord Europa, dove i vini pregiati venivano imbottigliati già dalla seconda metà del Seicento e consumati da nobili o da ricchi borghesi, erano considerati oggetti di lusso e quindi anche esteticamente ricercati. Nello stesso periodo in altri Paesi come Italia, Spagna e Grecia, invece, il vino veniva venduto sfuso e quindi non si rilevano esemplari di particolare pregio. Prendendo in riferimento epoche successive, possiamo affermare che il cavatappi per il vino è meno pregiato rispetto a quelli realizzati per stappare bottiglie di liquidi preziosi come profumi e medicinali. Questi ultimi sono esemplari di dimensioni ridotte perché dovevano essere portatili, e venivano realizzati con materiali pregiati come l’oro e l’argento e spesso abbelliti da lavorazioni artigianali di altissimo livello che vedevano non solo bassorilievi finemente cesellati, ma anche l’utilizzo di materiali come avorio, madreperla e pietre dure. Quando il cavatappi si diffuse in epoche più recenti in tutte le classi sociali, assistiamo ad una maggiore evoluzione di quelli meccanici, pubblicitari e da bar solitamente pro- dotti in maggior numero e con materiali come l’ottone il ferro e l’acciaio.

Osservando i suoi si comprende come lei abbia una predilezione per quelli preziosi decorativi e figurativi…

Sicuramente sono i miei preferiti. Mi piace riassumere la mia essenza di collezionista con una frase del poeta inglese John Keats, diventata a tutti gli effetti il mio motto “A thing of beauty is a joy forever”. Tra l’altro le scelte che faccio rappresentano in pieno le caratteristiche del collezionista europeo soprattutto italiano e francese, che privilegia prima di tutto l’estetica. Mentre il collezionista di cavatappi angloamericano predilige quelli a meccanismo meglio se con il brevetto più antico e con il minor numero di esemplari in circolazione. Due approcci completamente differenti. Suppongo che recuperare quelli preziosi non sia affatto facile? Sono stato il primo italiano alla ricerca di cavatappi ad andare a Londra per partecipare alle aste di Christie’s e Sotheby’s che mettevano all’incanto questi utensili raffinati insieme a bottiglie di vini rari e da collezione. La prima volta che partecipai ero talmente emozionato e desideroso di aggiudicarmi il pezzo battuto che continuavo a rilanciare sulla mia ultima offerta. Sono stato ripreso addirittura dal banditore! Oltre alle aste frequento anche i mercati antiquari più importanti andando all’alba per trovare i pezzi migliori.

Le decorazioni spesso seguivano il gusto dell’epoca, si passa da quelli Rococò a quelli austeri e geometrici Art Deco. I soggetti facevano spesso riferimento alle bevande come tralci d’uva foglie di vite o di luppolo e così via. Esistono però, di epoche più recenti decori diversi e figure sfiziose…

Sono tantissimi gli esempi che si possono fare, molto ricercati sono quelli chiamati French Can-Can, realizzati in ferro e celluloide con le due leve che rappresentavano le gambe delle ballerine del Moulin Rouge, allora di gran moda. Tra i figurativi quelli prodotti in Germania e Inghilterra sono sicuramente i più interessanti, tra quelli italiani possiamo citare il cavatappi nascosto in una pipa di ottone lucido attribuito alla fantasia dell’architetto Gio Ponti.

Lei è nato collezionista, oltre ai cavaturaccioli possiede raccolte di diverse tipologie di piccoli utensili come acciarini, forbici e schiaccianoci …

Per far capire il perché della mia passione prendo in prestito una frase detta dal mio amico Bruno Munari “l’utensile è l’unione ideale tra la mano dell’uomo e la materia” è questo ciò che mi attrae di questi oggetti

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