di Domizia Dalia – pubblicato su COLLEZIONARE ottobre/novembre 2014
Oltre cinquemila sono le opere realizzate dal ceramista di fama internazionale, in oltre vent’anni di attività. Un susseguirsi di stanze cariche di sculture dove i colori della tradizione millenaria dominano incontrastati
La telefonata molto attesa arriva in una giornata di fine agosto: è Giacomo Alessi ceramista di fama internazionale.
Accetta di incontrarci. Senza troppi indugi si parte da Palermo verso Caltagirone. La strada è lunga, soprattutto per chi non è del luogo. Si abbandona la costa per entrare in altri panorami. Il territorio ora sembra un deserto siciliano, fatto anch’esso di dune. A Enna la svolta, e poi dritti fino alla meta, passando per sterminate distese di pale di fichi d’india. Ad attendermi Alessi, un sessantino baffuto né troppo alto né troppo basso, come lo descriverebbe Camilleri in uno dei suoi romanzi, che con le mani già imbrattate di argilla ci apre le porte del suo laboratorio, a pochi chilometri dal centro della città.
La consapevolezza di trovarci di fronte non solo a un artigiano, ma a un artista vero, con importanti partecipazioni alle spalle – tra cui La Biennale di Venezia e il MoMa di New York – e inserito perfino dall’Unesco fra i “tesori umani viventi” nel registro delle eredità immateriali siciliane, ci emoziona. Sono tante le domande che vorremmo fargli, ma con il suo eloquio coinvolgente e ricco di termini dialettali prende subito il sopravvento facendo emergere i suoi punti di vista.
Spazia da un pessimismo cosmico di matrice leopardiana che lo porta verso una sfiducia nei confronti dell’artigianato in generale alle problematiche dell’arte contemporanea che definisce “Oscillazioni del gusto” parafrasando il critico d’arte Gillo Dorfles. Si capisce che Alessi sta vivendo un passaggio travagliato. Con audacia sta affrontando, come ogni artista che si rispetti, una nuova strada, dove la tradizione delle ceramiche calatine subisce un processo di interiorizzazione e scaturisce poi sotto nuove forme contemporanee. Dopo aver preso un po’ di confidenza e un caffè – il suo è l’ennesimo della giornata visto che si sveglia regolarmente prima che il gallo canti per studiare e progettare nuove opere – ci dice: “Adesso dovete vedere L’appartamento di Freud.” Non aspettavamo altro, la parola magica è stata pronunciata e come Alì Babà, in una delle novelle delle Mille e una Notte ci troviamo nella caverna segreta dove Giacomo raccoglie il suo tesoro: una collezione di oltre cinquemila opere. Pezzi unici realizzati dal Maestro in oltre venti anni di attività: un paradiso per ogni collezionista, e non solo di ceramiche. Un susseguirsi di stanze cariche di sculture dove i colori della tradizione millenaria dominano incontrastati. Il verde ramina, il manganese, il giallo arancio e il blu cobalto si fondono con le nuove sperimentazioni cromatiche messe a punto da Alessi e fanno rivivere i miti di un tempo.
Ecco allora Ettore e Achille che, rappresentati dai loro elmi, dialogano tra loro; le Arpie, raffigurate come mostri con le ali recise e ancora Venere o la Musa, raccontate attraverso teste antropomorfe, dai tratti stilizzati in cui è possibile intravedere la lezione picassiana. “Per me ogni opera è viva,” ci spiega l’artista. “E quando la creo me ne innamoro!”. Un’infatuazione passionale che si trasforma in quel senso di possesso tipico di ogni collezionista. Giacomo Alessi rappresenta quindi il più importante collezionista di se stesso, con difficoltà si stacca dalle sue creazioni che diventano pertanto ancora più desiderate da chi, oltre lui, le raccoglie. Continuando il viaggio attraverso le sue opere si comprende il significato dell’affermazione fatta dal Maestro: “La scultura deve emozionare, deve suscitare meraviglia grazie alla materializzazione dell’invisibile”. Ci troviamo, così, catapultati al cospetto di opere intime in grado di far emergere la sensibilità dell’uomo-artista nei confronti dei temi attuali. Un esempio tra tutti l’opera Cubbuli e Minareti (Cupole e minareti), un omaggio a tutte le religioni perché esse possano coesistere pacificamente. Un lavoro ispirato probabilmente anche alla tolleranza di Federico II, molto amato ancora oggi dai siciliani. Ogni opera è stata plasmata seguendo istinto e processi creativi differenti “Ci sono modi e modi per dare vita a qualche cosa, l’importante è non lasciare nulla al caso,” afferma Alessi. “Come nel Presepe della Cattiveria nel quale si capisce che le possibilità sono tante e si relazionano al momento.
La gestualità sta alla base di tutto ed è anche ciò che permette di lasciare sulla materia, sull’oggetto, molto di se stesso, è il frutto di un’emozione personale”. Anche la sperimentazione diventa l’essenza del suo lavoro, “Bisogna conoscere bene la materia” afferma. E da lì partire per trovare nuove vie per modellarla, oltrepassando il concetto vasariano secondo il quale ci sono cose che al tornio possono essere fatte e altre no. Dunque Giacomo Alessi il penultimo degli umanisti, come spesso ama definirsi, si sta cimentando proprio in questo: affrontare il nuovo oltre ogni ragionevole dubbio. La sua collezione ne è una testimonianza.